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Occhio rotondo 25. Graffiti

18 Febbraio 2024

Qual è l’opera? Quella dentro la cornice ovale o quella disposta tutto intorno? Entrambe, verrebbe da dire, dal momento che a realizzare questa immagine è stato Ugo Mulas. Il fotografo milanese vede quello che c’è dentro le immagini che inquadra, così, mentre scatta, moltiplica l’immagine stessa. Come? Creando spazio. La sua è un’arte estensiva. Si tratta d’un fatto misterioso: tutto sembra prendere corpo come se nascesse dallo spazio in quel momento, e questo solo perché l’ha fotografato. Del resto, qui sta riprendendo non un’opera qualsiasi, bensì i disegni di Saul Steinberg, il genio dello spazio esteso, sia in senso spaziale che in quello temporale. Steinberg è uno che riesce a suscitare col suo segno spazi dentro altri spazi, in una sorta di accrescimento progressivo prodigioso. 

Il 5 dicembre 1961 Saul Steinberg ha completato di incidere le pareti dell’atrio della palazzina di proprietà di Astorre Mayer situata in via Bigli 5 a Milano. Firma sul muro. Mayer, un industriale milanese, ha affidato la ristrutturazione del palazzo a Ernesto Nathan Rogers, uno dei grandi architetti italiani, e questi ha chiamato a collaborare Saul Steinberg, il grande disegnatore, o meglio il grande scrittore di disegni, suo amico, con cui aveva già collaborato alla Triennale per il “Labirinto dei bambini”. 

C’è un grande atrio nella casa, come si usa nei palazzi degni di questo nome, con anche una portineria; l’atrio conduce poi dalla strada al giardino interno, altra particolarità tutta milanese. Steinberg lavora sull’intonaco fresco con la tecnica del graffito: il solco tracciato subito dopo viene riempito di nero, in modo che alla fine sembra disegnato da una penna direttamente sul muro. 

Mulas arriva un mese e mezzo dopo, il 24 di gennaio del 1962, e comincia a scattare con una macchina Hasselblad diversi rullini, in modo da documentare il lavoro dell’artista newyorkese (in realtà si tratta di un artista romeno-italiano-americano).    

Nelle fotografie di Mulas le pareti appaiono ricoperte di disegni tracciati senza un progetto vero e proprio: un immenso scarabocchio condotto su un enorme foglio. Mulas ha realizzato oltre 200 fotografie di quel capolavoro inventivo, quasi un inconscio grafico di Steinberg, non resta più alcuna traccia. Nel 1998, dopo la morte del proprietario, la palazzina venne brutalmente ristrutturata e i muri manomessi. Così il lavoro dell’artista americano, ridotto in frantumi, è finito tra i residui d’una discarica edile. Un vero delitto. 

Per fortuna ci sono rimaste queste immagini ora esposte in una mostra torinese aperta presso “Camera” accompagnata da un catalogo: Saul Steinberg/Ugo Mulas, Graffiti (a cura di Dario Borso, Dario Cimorelli Editore). Un documento prezioso che permette di entrare nel mondo immaginativo di Saul Steinberg. Mulas ci conduce per mano dentro l’opera mentale e visuale dell’artista. A favorire questo risultato, che è una vera e propria lettura dell’opera dell’artista – la fotografia come atto critico oltre che visivo –, è un dattiloscritto che Steinberg ha consegnato al fotografo e che per molti decenni è rimasto tra le sue carte. Si tratta di una sorta di “spiegazione” di quello che c’è sui muri: una lettura fornita dall’autore in forma didascalica. 

Mulas segue passo a passo le righe battute a macchina e scritte nell’italiano paratattico e favoloso di Steinberg. Cosa rappresenta l’insieme dell’opera, o meglio, quali sono i suoi motivi dominanti? Il tema del Labirinto, con Teseo e il Minotauro, visto attraverso la Galleria Vittorio Emanuele di Milano, altro topos visivo dell’artista; poi quattro eroi: Candide, Teseo (o Arianna), Don Chisciotte e Joyce. 

In un bellissimo e ampio saggio, raccolto in AZ Steinberg (Electa, 2021), Claudio Bartocci ha spiegato il legame che esiste tra Steinberg e Joyce, e come l’artista, un vero despatrio, si sia identificato con lo scrittore irlandese, il quale non a caso ha intitolato uno dei suoi libri Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane (1916).     

Ugo Mulas ha fotografato l’affresco-graffito in due modi: da un lato, ha documentato il disegno generale degli ambienti, e dall’altro è entrato nel dettaglio dei singoli segni, che sembrano fiorire gli uni dagli altri in una disseminazione e nel contempo in una crescita continua. In altre parole, non ha perso di vista l’idea generale, ma nel medesimo tempo ha inseguito le singole immagini guardandole da vicino, che è poi la vertigine offerta dai disegni di Steinberg: si guardano insieme, però poi ci si perde nella osservazione dei singoli dettagli.   

Mulas guarda attraverso l’obiettivo e scatta. Sa bene che questo affresco onirico non si può afferrare completamente, per cui si limita – e non è poco – a dare spazio ai singoli graffiti. Riconduce il labirinto di via Bigli 5 a una forma, ma senza elidere l’ossessione che c’è dentro. Questa ossessione l’aveva compresa anche il padrone di casa, confidando all’architetto Nathan Rogers che l’aveva turbato il rinvio, attraverso Don Chisciotte, ai temi della paura, della pazzia e dell’odio posti all’ingresso della casa. Per quanto elegante il Labirinto di Steinberg contiene senza dubbio elementi perturbanti. Ugo Mulas ci restituisce quel segno armonioso e insieme nervoso senza mai eliderlo, come nell’immagine del custode al telefono dentro l’ovale della portineria. Riesce a compiere una sintesi visiva quasi perfetta. Così guardando i suoi scatti, vien fatto domandarci: è più vero l’uomo dentro l’oblò oppure sono più veri i disegni che lo circondano lì fuori?   

Ugo Mulas, Saul Steinberg, Palazzina Mayer, Milano, 1962

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