McLuhan a scuola

14 Marzo 2024

Lo studioso canadese Marshall McLuhan è scomparso nel 1980. Dunque, i suoi principali concetti esistono da più di cinquant’anni. Eppure devono essere considerati ancora estremamente attuali. Sono in grado cioè di spiegarci con grande efficacia anche quei meccanismi di funzionamento che caratterizzano il mondo digitale nel quale siamo sempre più immersi. Insomma, l’“era elettronica” che McLuhan aveva in mente dev’essere considerata come estremamente simile alla nostra. Ben venga dunque il libro che è stato recentemente curato da Simone di Biasio, ricercatore di Storia della pedagogia all’Università Roma Tre: L’educazione nell’era elettronica (Edizioni ETS). Contiene infatti un testo pubblicato per la prima volta in italiano, e tradotto dallo stesso Di Biasio, che è in grado anche di riassumere in maniera esemplare molte degli innovativi concetti teorici elaborati da McLuhan. 

Questo autore aveva una concezione particolarmente ampia della natura del medium. A suo avviso, infatti, i media possono essere tutti quegli strumenti che consentono agli esseri umani di mettersi in relazione con l’ambiente. Consentono cioè d’interagire con l’esterno e di stabilire un miglior rapporto con esso. Ma non si tratta di strumenti puramente neutrali. Nel caso dei media comunicativi, ad esempio, non siamo semplicemente di fronte a degli strumenti di trasmissione di contenuti (informazioni, suoni, immagini, ecc.). Al contrario, questi e tutti gli altri media agiscono nell’ambiente nel quale si trovano a operare e producono dei significativi effetti. Perché hanno la capacità di esercitare un impatto sui sensi degli esseri umani, ma soprattutto di cambiare il modo di vedere la realtà, di modificare cioè la struttura delle mentalità e le capacità cognitive delle persone. Ciò dunque che viene sinteticamente espresso dalla celebre frase mcluhaniana “Il medium è il messaggio”. Ne deriva che per McLuhan tutte le tecnologie devono essere considerate delle estensioni del corpo umano o di una sua particolare facoltà, psichica o fisica (la parola è un’estensione del pensiero, la ruota del piede, il libro dell’occhio, gli indumenti della pelle, ecc.). E ciò vale naturalmente anche per le tecnologie relative ai media, le quali non sono dei neutri canali di comunicazione, ma protesi del corpo umano e in particolare estensioni dei sensi e dei nervi.

Se vengono considerate tutte insieme, le tecnologie dei media rappresentano secondo McLuhan un’estensione del sistema nervoso centrale. Un’estensione che l’elettricità, attraverso la sua rete di distribuzione, ha reso talmente ampia da farla tendere verso la dimensione della globalità e del superamento del tempo e dello spazio. È la nuova condizione del “villaggio globale”, resa possibile appunto dall’operare del circuito elettrico come un’estensione del sistema nervoso centrale degli individui.

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L’educazione può probabilmente essere considerata una disciplina capace di formare degli individui che siano in grado di rapportarsi in maniera efficace a questo processo, capace cioè di dare vita a un processo per certi versi uguale ma contrapposto. Pertanto, allora, anch’essa può essere considerata un medium. 

Nell’attuale epoca digitale, tutto ciò è ancora valido. Il mondo digitale infatti, esattamente come diceva McLuhan, richiede agli individui un elevato senso di partecipazione, un coinvolgimento totale ed esclusivo. Non esistono al suo interno dei mondi separati, un dentro e un fuori, delle specializzazioni, ma soltanto il piacere della diversità. Pertanto, l’educazione non può dare ai bambini qualcosa che è già noto, trasmettere semplicemente delle nozioni. Una tale concezione dell’educazione viene rifiutata dai bambini stessi, perché essi tendono a esplorare e a scoprire. Vogliono sempre più indagare l’ambiente digitale, come se fossero dei cacciatori alla continua ricerca di nuove prede. E hanno ben compreso che il nuovo mondo digitale è un ambiente simultaneo, dove non esistono più una struttura lineare, delle narrazioni o dei particolari punti di vista da cui guardare il mondo, ma soltanto una forma espressiva collettiva e condivisa.

Non è un caso perciò che McLuhan dedicasse una particolare attenzione alla televisione.

Questa infatti rappresentava all’epoca la più avanzata forma linguistica dell’era elettronica. Le sue immagini elettroniche, diceva McLuhan, possiedono una struttura “a mosaico” e sono estremamente coinvolgenti. Così, di fronte a queste immagini, secondo lo studioso canadese, lo spettatore deve farsi completamente assorbire. Dunque, la televisione chiede alle persone di essere profondamente coinvolte, di partecipare cioè con tutto il corpo al completamento di quelle immagini incomplete che vengono da essa proposte.

Ma la televisione e i media, in un certo senso, possono anche essere visti come delle vere e proprie “aule didattiche”. Cioè come delle aule dove sia possibile “allenare” gli spettatori più giovani. Per poterlo fare, secondo McLuhan, è necessario sostituire il vecchio modello di apprendimento basato sul linguaggio lineare e alfabetico della stampa con il nuovo modello “a mosaico” dell’immagine televisiva. Dunque, con un modello che tenga conto delle modalità di funzionamento dei media elettronici e le utilizzi per produrre dei risultati differenti. Soltanto in questo modo sarà possibile per McLuhan produrre degli esseri umani audio-tattili completamente nuovi, degli esseri umani cioè adeguati al nuovo ambiente dell’era elettronica. 

Ciò non significa che sia necessario mettere gli studenti in aula a lavorare direttamente sugli schermi dei televisori o dei computer. McLuhan ha sostenuto invece che le tecnologie mediatiche dovrebbero rimanere al di fuori della scuola. Quello che conta è stimolare gli studenti e dialogare liberamente con loro affinché sviluppino un metodo e un approccio di lavoro che potranno poi applicare all’esterno su tutti i media esistenti. Per diventare cittadini pienamente consapevoli del proprio ruolo. 

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